Dal libro di Gianni Rodari "Tante storie per giocare" - Einaudi 1977
Rodari riteneva che "Io credo che le fiabe, quelle vecchie e quelle nuove, possano contribuire a educare la mente."
Questo libro contiene diciannove storie. Chi lo dice che ogni storia deve avere un finale? A Gianni Rodari non piacevano le regole date
senza motivo, e che una storia fosse obbligata ad avere uno e un solo finale, gli sembrava una
regola da mettere alla prova, per vedere se era una regola buona o no. Ed ecco il risultato: Tante
storie per giocare, un libro di racconti bizzarri, a volte fiabeschi a volte surreali, dal finale aperto.
L'autore ne suggerisce tre per ogni storia, e invita bambini e ragazzi a scegliere quello che preferiscono e
motivare il perché, oppure a scriverne uno nuovo da loro stessi.
Dal primo racconto "Il tamburino magico" ho inventato un finale personale.
C'era una volta un tamburino che tornava dalla guerra. Era povero, aveva soltanto il suo tamburo, ma era contento lo stesso perché tornava a casa dopo tanti anni. Lo si sentiva suonare di lontano: barabàn, barabàn, barabàn...
Cammina e cammina, incontra una vecchietta. - Bel soldatino, me lo dai un soldo? - Te ne darei anche due, nonnetta, anche una dozzina, se ne avessi. Ma proprio non ne ho.
- Sei sicuro?
- Ho cercato nelle tasche tutta la mattina e non ho trovato nulla. - Guardaci ancora, guardaci bene.
- Nelle tasche? Guarderò, giusto per farti contenta. Ma sono certo che... Toh, e questo che cos'è?
- Un soldo. Hai visto che ce l'avevi?
- Ti giuro che non lo sapevo. Che bellezza! Tieni, te lo dò volentieri perché devi averne più bisogno di me.
- Grazie, soldatino, - dice la vecchietta, - e io ti darò qualcosa in cambio.
- Davvero? Ma io non voglio niente.
- Sì, voglio darti una piccola magia. E sarà questa: ogni volta che il tuo tamburo rullerà, tutti dovranno ballare.
- Grazie, nonnetta. E' proprio una magia con i fiocchi.
- Aspetta, non è finita: tutti balleranno, e non potranno fermarsi se tu non smetterai di suonare.
- Benone! Non so ancora che cosa me ne farò, di questa magia, ma sento che mi sarà utile.
- Ti sarà utilissima.
- Addio, soldatino.
- Addio, nonnetta.
E il soldatino si rimette in cammino per tornare a casa. Cammina, cammina... . A un tratto dalla foresta saltano fuori tre briganti.
- O la borsa o la vita!
- Per carità, accomodatevi, prendete pure la borsa. Ma vi avverto che è vuota.
- Mani in alto o sei morto!
- Obbedisco, obbedisco, signori briganti.
- Dove tieni i soldi?
- Io, per me, li terrei anche nel cappello.
I briganti guardano nel cappello: non c'è niente.
- Io, per me, li terrei anche in un orecchio.
Guardano nell'orecchio: niente di niente.
- Vi dico che li terrei anche sulla punta del naso, se ne avessi.
I briganti guardano, cercano, frugano. Naturalmente non trovano nemmeno un centesimo di ferro.
- Sei proprio un pezzente, - dice il capo brigante. - Pazienza. Ti prenderemo il tamburo per fare un po' di musica.
- Prendetelo pure, - sospira il soldatino, - mi dispiace separarmene, perché mi ha fatto compagnia per tanti anni. Ma se proprio lo volete... .
- Lo vogliamo.
- Mi lascereste fare una suonatina, prima di portarmelo via? Così vi insegno come si fa, eh?
- Ma sì, facci una suonatina.
- Ecco, ecco, - dice il tamburino, - io faccio la suonatina. E voi... (barabàn, barabàn, barabàn!) e voi ballate!
E bisognava vederli ballare quei tre tipacci. Parevano tre orsi alla fiera.
In principio ci si divertivano, ridevano e scherzavano. -Forza, tamburino! Sotto con il valzer!
- Ora la polka, tamburino!
- Avanti con la mazurka!
Dopo un po' cominciano a soffiare. Provano a fermarsi e non ci riescono. Sono stanchi, hanno il fiatone, gli gira la testa, ma la magia del tamburo li costringe a ballare, ballare, ballare...
- Aiuto!
- Ballate!
- Pietà!
- Ballate!
- Misericordia!
- Ballate, ballate!
- Basta, basta!
- Posso tenermi il tamburo?
- Tienilo... Non vogliamo saperne di stregonerie...
- Tutto quello che vuoi, basta che tu smetta di suonare. Ma il tamburino, per prudenza, smise solo quando li vide cascare per terra senza forze e senza respiro.
- Ecco, così non potrete corrermi dietro!
E lui, via a gambe.
Ogni tanto, per precauzione, dava qualche colpetto al tamburo. E subito si mettevano a ballare le lepri nelle loro tane, gli scoiattoli sui rami, le civette nei nidi, costrette a svegliarsi in pieno giorno...
E via e via, camminava e correva, il bravo tamburino, per tornare a casa sua...
Il mio finale
Cammina, cammina il tamburino trova una grotta dentro alla quale è incisa sulla parete una mappa di un tesoro. Il tamburino che in realtà si chiamava Antonio e che non aveva un soldo, decide di mettersi alla ricerca di quel tesoro. Gli cade l'occhio su un mucchio di carbone dove prima c'era un fuoco e decide di usarlo per disegnare la mappa sulla pelle del tamburo. Antonio comincia la sua caccia. Dopo un paio di ore arriva in un villaggio dove incontra una ragazza di nome Alice che gli chiede cosa ci sia disegnato sul tamburo. Antonio le racconta come ha trovato la mappa e come ha fatto a disegnarla . Alice è incuriosita dal racconto di Antonio e decide di andare con lui alla ricerca di questo tesoro. Si mettono in cammino ma del tesoro non trovano nessuna traccia. Si trovano davanti dei briganti che riconoscono la mappa disegnata e vogliono strappare la pelle del tamburo. Antonio impaurito si butta sullo strumento, Alice si mette accanto a lui e inizia a cantare una canzone:
" Oh coniglio, bianco coniglio, vieni presto a darci un consiglio. Ci siamo cacciati in un groviglio."
Come d'incanto appare Bianconiglio arrotandosi i denti e si lancia contro i briganti permettendo ai due ragazzi di scappare. Si fermano in una radura per prendere fiato e si abbracciano. Lì scoprono di provare gli stessi sentimenti. Decidono di abbandonare la ricerca ma non sanno cosa fare con la mappa. Discutono tra di loro e stabiliscono che la cosa migliore è lasciare la mappa a chi ne ha più bisogno. E' quindi necessaria una nuova magia. Trascrivono la mappa sul tronco di un albero e Alice canta un'altra canzone magica:
"mappa, mappa mia che nessuno ti porti via, solo chi ha il cuore buono ha diritto a questo dono."
Si prendono per mano e tornano al villaggio.
RICONOSCI E SOTTOLINEA I VERBI DEL TESTO
C'era una volta un tamburino che tornava dalla guerra. Era povero,
aveva soltanto il suo tamburo, ma era contento lo stesso perché tornava
a casa dopo tanti anni. Lo si sentiva suonare di lontano: barabàn, barabàn,
barabàn...
Cammina e cammina, incontra una vecchietta. - Bel soldatino, me lo dai un
soldo? - Te ne darei anche due, nonnetta, anche una dozzina, se ne avessi.
Ma proprio non ne ho.
- Sei sicuro?
- Ho cercato nelle tasche tutta la mattina e non ho trovato nulla. -
Guardaci ancora, guardaci bene.
- Nelle tasche? Guarderò, giusto per farti contenta. Ma sono certo che...
Toh, e questo che cos'è?
- Un soldo. Hai visto che ce l'avevi?
- Ti giuro che non lo sapevo. Che bellezza! Tieni, te lo dò volentieri perché
devi averne più bisogno di me.
- Grazie, soldatino, - dice la vecchietta, - e io ti darò qualcosa in cambio.
- Davvero? Ma io non voglio niente.
- Sì, voglio darti una piccola magia. E sarà questa: ogni volta che il tuo tamburo
rullerà, tutti dovranno ballare.
- Grazie, nonnetta. E' proprio una magia con i fiocchi.
- Aspetta, non è finita: tutti balleranno, e non potranno fermarsi se tu non
smetterai di suonare.
- Benone! Non so ancora che cosa me ne farò, di questa magia, ma sento che
mi sarà utile.
- Ti sarà utilissima.
- Addio, soldatino.
- Addio, nonnetta.
E il soldatino si rimette in cammino per tornare a casa. Cammina, cammina... .
A un tratto dalla foresta saltano fuori tre briganti.
- O la borsa o la vita!
- Per carità, accomodatevi, prendete pure la borsa. Ma vi avverto che è vuota.
- Mani in alto o sei morto!
- Obbedisco, obbedisco, signori briganti.
- Dove tieni i soldi?
- Io, per me, li terrei anche nel cappello.
I briganti guardano nel cappello: non c'è niente.
- Io, per me, li terrei anche in un orecchio.
Guardano nell'orecchio: niente di niente.
- Vi dico che li terrei anche sulla punta del naso, se ne avessi.
I briganti guardano, cercano, frugano. Naturalmente non trovano nemmeno un
centesimo di ferro.
- Sei proprio un pezzente, - dice il capo brigante. - Pazienza. Ti prenderemo il
tamburo per fare un po' di musica.
- Prendetelo pure, - sospira il soldatino, - mi dispiace separarmene, perché mi
ha fatto compagnia per tanti anni. Ma se proprio lo volete... .
- Lo vogliamo.
- Mi lascereste fare una suonatina, prima di portarmelo via? Così vi insegno
come si fa, eh?
- Mah sì, facci una suonatina.
- Ecco, ecco, - dice il tamburino, - io faccio la suonatina. E voi... (barabàn,
barabàn, barabàn!) e voi ballate!
E bisognava vederli ballare quei tre tipacci. Parevano tre orsi alla fiera.
In principio ci si divertivano, ridevano e scherzavano. -Forza, tamburino! Sotto
con il valzer!
- Ora la polka, tamburino!
- Avanti con la mazurka!
Dopo un po' cominciano a soffiare. Provano a fermarsi e non ci riescono. Sono
stanchi, hanno il fiatone, gli gira la testa, ma la magia del tamburo li costringe
a ballare, ballare, ballare...
- Aiuto!
- Ballate!
- Pietà!
- Ballate!
- Misericordia!
- Ballate, ballate!
- Basta, basta!
- Posso tenermi il tamburo?
- Tienilo... Non vogliamo saperne di stregonerie...
- Tutto quello che vuoi, basta che tu smetta di suonare. Ma il tamburino, per
prudenza, smise solo quando li vide cascare per terra senza forze e senza
respiro.
- Ecco, così non potrete corrermi dietro!
E lui, via a gambe.
Ogni tanto, per precauzione, dava qualche colpetto al tamburo. E subito si
mettevano a ballare le lepri nelle loro tane, gli scoiattoli sui rami, le civette
nei nidi, costrette a svegliarsi in pieno giorno...
E via e via, camminava e correva, il bravo tamburino, per tornare a casa sua...
(testo G. Rodari)
Pinocchio il furbo
C'era una volta Pinocchio. Ma non quello del libro di Pinocchio, un altro. Era di legno anche lui, ma non era lo stesso. Non l'aveva fatto Geppetto, si era fatto da solo.
Diceva le bugie anche lui, come il famoso burattino, e ogni volta che le diceva il naso gli si allungava a vista d'occhio, però era proprio un altro Pinocchio: tanto è vero che quando il naso gli si allungava, invece di spaventarsi, piangere, chiedere aiuto alla Fatina eccetera, lui prendeva un coltello, o una sega, e si tagliava via un bel pezzo di naso. Era di legno, vero?, così non poteva sentire dolore. E siccome di bugie ne diceva tante e anche di più, in poco tempo si trovò la casa piena di pezzi di legno. - Che bellezza, - dice, - con tutto questo bel legname stagionato mi ci faccio i mobili, mi ci faccio, e risparmio la spesa del falegname. Per bravo, era bravo. Lavorando si fece il letto, il tavolo, l'armadio, le sedie, gli scaffali per i libri, una panca. Alla fine stava facendo un cavalletto per metterci su il televisore e gli venne a mancare il legno. - Ho capito, - disse, - ci vuole una buona bugia. Corse fuori e cercò il suo tipo. Arrivava, trotterellando sul marciapiede, un omino di campagna, di quelli che sono sempre in ritardo per prendere la corriera. - Buongiorno. Ma lo sa che lei è proprio fortunato? - Io! E come mai? - Non lo sa ancora?! Ha vinto cento milioni alla lotteria, lo ha detto la radio cinque minuti fa. - Non è possibile! - Come sarebbe, non è possibile... . Lei, scusi, come si chiama? - Roberto Bislunghi. - Vede? La radio ha detto proprio il suo nome, Roberto Bislunghi. E che mestiere fa? - Vendo salame, quaderni e lampadine a San Giorgio di Sopra. - Allora non ci sono dubbi: il vincitore è proprio lei. Cento milioni. Mi congratulo vivamente... - Grazie, grazie...
Il signor Bislunghi ci credeva e non ci credeva, ma era emozionatissimo e dovette entrare in un bar per bere un bicchier d'acqua. Solo dopo che ebbe bevuto gli venne in mente che non aveva mai comprato biglietti per la lotteria, dunque ci doveva essere uno sbaglio. Ma Pinocchio, ormai, era tornato a casa soddisfatto. La bugia gli aveva allungato il naso della misura giusta per fare l'ultima gamba del cavalletto. Segò, inchiodò, piallò: ecco fatto. Un cavalletto così, a comprarlo e pagarlo, ci sarebbero volute le sue ventimila lire. Un bel risparmio. Quando ebbe finito di arredarsi la casa, decise di mettersi in commercio. - Venderò legname e diventerò ricco. E difatti, a dire le bugie era così svelto che in poco tempo diventò proprietario di un grande magazzino con cento operai a lavorare e dodici ragionieri a fare i conti. Si comprò quattro automobili e due autotreni. Gli autotreni non gli servivano per andare a spasso, ma per trasportare il legname. Ne mandava anche all'estero, in Francia e in Burlandia. E giù bugie e giù bugie: il naso non si stancava mai di ricrescere. Pinocchio diventava sempre più ricco. Adesso nel suo magazzino lavoravano tremilacinquecento operai e quattrocentoventi ragionieri a fare i conti. Purtroppo, a forza di dire bugie gli si svuotava la fantasia. Per trovarne una nuova doveva andare in giro ad ascoltare le bugie degli altri e copiarle: quelle dei grandi, quelle dei bambini... Ma erano bugie da poco e facevano crescere il naso solo di pochi centimetri per volta.
Allora Pinocchio si decise a prendere un suggeritore, un tanto al mese. Il suggeritore passava otto ore al giorno nel suo ufficio a pensare bugie e a scriverle su tanti foglietti, che poi passava al padrone: - Dica che la Cupola di San Pietro l'ha costruita lei. - Dica che la città di Forlimpopoli ha le rotelle e può andare in giro per le campagne. - Dica che è andato al Polo nord, ha fatto un buco ed è uscito al Polo sud. Il suggeritore guadagnava abbastanza bene, però alla sera, a furia di inventare bugie, gli veniva il mal di testa. - Dica che il Monte Bianco è suo zio. - Che gli elefanti non dormono né sdraiati né in piedi, ma ritti sulla proboscide. - Che il fiume Po è stanco di gettarsi nell'Adriatico e vuole gettarsi nell'Oceano Indiano. Adesso che era ricco e straricco, Pinocchio non si segava più il naso da solo: lo servivano due operai specializzati, in guanti bianchi, con una sega d'oro. Questi operai il padrone li pagava due volte: una per il lavoro che facevano, un'altra per stare zitti. Ogni tanto, quando la giornata era stata particolarmente fruttuosa, pagava loro anche un bicchiere d'acqua minerale.
Il mio finalePinocchio il furbo...e la signorina Sincerità
Arrivò un tempo in cui gli affari di Pinocchio non andavano più così bene e decise di inviare i suoi collaboratori tra la gente per scoprire qual'era la ragione. Quando tornarono gli riferirono che il motivo era che il legno fatto con le sue bugie dopo un po' di tempo scompariva e quindi la gente preferiva andare a comprare il legname nella falegnameria del paese vicino. Appresa la notizia, Pinocchio volle sapere chi era il proprietario della falegnameria concorrente. Fu informato dai suoi uomini che il proprietario era una donna che si chiamava Sincerità e decise di invitarla a cena. Le scrisse una lettera:"Carissima signorina Sincerità,vorrei avere l'onore di invitarla a cena questo sabato per conoscerla meglio e avere un consiglio da parte sua, cordiali saluti".
La signorina Sincerità nata a firenze il giorno 10/12/1976, da una famiglia di falegnami, era conosciuta per la qualità del legno, l'onestà, e la gentilezza che aveva nei confronti dei clienti. Una volta ricevuta la lettera, la signorina decise di rispondere:"Carissimo signor Pinocchio sarei felicissima di venire a cena con lei e di darle dei consigli".
I due fissarono di incontrarsi sabato alle 20:00 al ristorante Principe.
Arrivò il fatidico sabato e mentre erano a cena Pinocchio cercò di indagare sulle strategie di mercato che avevano reso tanto ricca la sua commensale.Onestà, sincerità, sensibilità, cortesia e gentilezza erano le chiavi del successo della signorina. Pinocchio era esterrefatto, era la prima volta che sentiva parlare di quelle grandi virtù e rimase incantato da quelle qualità umane che si incarnavano nella signorina.Capì la differenza che c'era tra di loro e decise di seguire i precetti morali della signorina Sincerità.Pinocchio e la signorina Sincerità unirono le loro aziende.
In breve tempo smise di dire bugie, iniziò a dare utili consigli ai suoi collaboratori
e ai suoi clienti,riacquistando la fiducia e l'amore di tutti.Il cane che non sapeva abbaiare
![]()
C'era una volta un cane che non sapeva abbaiare.
Non abbaiava, non miagolava, non muggiva, non nitriva, non sapeva fare nessun verso. Era un cagnetto solitario, chissà come era capitato in un paese senza cani.
Per conto suo non si sarebbe nemmeno accorto che gli mancava qualcosa.
Erano gli altri a farglielo capire. Gli dicevano: - Ma tu non abbai? - Non saprei... io sono forestiero... - Senti che risposta. Non lo sai che i cani abbaiano? - A che scopo? - Abbaiano perché sono cani. Abbaiano ai vagabondi di passaggio, ai gatti dispettosi, alla luna piena. Abbaiano quando sono contenti, quando sono nervosi, quando sono arrabbiati. Di giorno, per lo più, ma anche di notte. - Sarà, ma io... - Ma tu, cosa? Tu sei un fenomeno, va là: un giorno o l'altro ti metteranno sul giornale.
Il cane non sapeva che cosa rispondere a queste critiche. Non sapeva abbaiare e non sapeva come fare per imparare. - Fa' come me, - gli disse una volta un galletto, che aveva compassione di lui. E lanciò due o tre sonori chicchirichi. - Mi sembra difficile, - disse il cagnetto.
- Macché, è semplicissimo. Ascolta bene, fa attenzione al
mio becco. - lnsomma, osservami e cerca di imitarmi. II galletto fece un altro chicchirichi. Il cane si provò a fare lo stesso, ma gli uscì di bocca solo un «goggo checchè», che mise in fuga le galline spaventate. - Fa niente, - disse il galletto, - per la prima volta è anche troppo. Riprova, dai. Il cagnetto riprovò una volta, due, tre. Riprovò tutti i giorni. Si esercitava di nascosto, dalla mattina alla sera. Qualche volta, per esercitarsi con più libertà, andava nel bosco. Una mattina, mentre stava per l'appunto nel bosco, gli riuscì di fare un chicchirichi così vero, così bello e forte che la volpe lo sentì e pensò tra sé: «Finalmente il gallo è venuto a trovarmi. Correrò a ringraziarlo per la visita...».
E difatti si mise a correre, ma non dimenticò di portarsi
forchetta, coltello e tovagliolo perché per una volpe non c'è
colazione più appetitosa di un bel galletto.
Si può capire come rimase male quando, al posto del gallo,
vide il cane che, accucciato sulla propria coda, lanciava uno
dopo l'altro quei chicchirichi.
- Ah, - disse la volpe, - così stanno le cose, mi avevi teso
un tranello.
- Un traneIlo?
- Ma certo. Mi hai fatto credere che ci fosse un gallo
sperduto nel bosco e ti sei nascosto per acchiapparmi.
Meno male che ti ho visto in tempo.
Questa, però, è caccia sleale. I cani, di solito, abbaiano per
avvertirmi che arrivano i cacciatori.
- Ti assicuro che io... Ecco, vedi, non pensavo mica alla
caccia. Ero venuto qui per fare esercizi.
- Esercizi? E di che genere?
- Mi esercito per imparare ad abbaiare. Ho quasi imparato,
senti come lo faccio bene.
E giù un sonorosissimo chicchirichi.
La volpe voleva scoppiare dalle risate. Si rotolava per
terra, si teneva la pancia, si mordeva i baffi e la coda.
ll nostro cagnetto ne fu tanto mortificato che se ne andò via
in silenzio, a muso basso, con le lacrime agli occhi.
C'era, lì vicino, un cúculo. Vede passare il cane, si impietosisce.
- Che cosa ti hanno fatto?
- Niente.
- E allora perché sei tanto triste?
- Eh... così e così... è perché non riesco ad abbaiare.
Nessuno mi insegna.
- Se è solo per questo, ti insegno io. Ascolta bene come
faccio e cerca di fare come me: cucù... cucù... cucù... Hai
capito?
- Mi sembra facile.
- Facilissimo. Io lo sapevo fare anche da piccolo.
Prova: cucù... cucù...
- Cu... - fece il cane. - Cu... Provò quel giorno, provò il
giorno dopo. In capo a una settimana ci riusciva già
abbastanza bene. Era proprio contento e pensava:
«Finalmente, finalmente comincio ad abbaiare sul serio.
Adesso non potranno più prendermi in giro».
Proprio in quei giorni si aprì la caccia. Vennero nei boschi
molti cacciatori, anche di quelli che sparano a tutto quello
che sentono e vedono,sparerebbero a un usignolo, sparerebbero.Passa un cacciatore di quel tipo lì, sente uscire da un cespugliocucù... cucù..., punta il fucile e - pam! bang! - lascia partire due colpi. I pallini, per fortuna, non colpirono il cane. Gli sfiorarono soltanto le orecchie, facendo ziip ziip, come nei fumetti.
II cane, via a gambe. Ma era molto meravigliato: «Quel
cacciatore dev'essere impazzito, se spara anche ai cani
che abbaiano...». Il cacciatore, intanto, cercava l'uccello.
Era sicuro di averlo ammazzato.
- Deve averlo portato via quel cagnaccio, chissà da dove è
saltato fuori -brontolava. E per sfogare la sua rabbia sparò
a un topolino che aveva messo la testa fuori della sua
tana, ma non lo prese.
Il cane correva, correva...
Il mio finale
Il cane correva, correva ad un certo punto cade in una buca nel terreno,
scivola lungo le radici di una albero fino a tuffarsi in un lago. Il cagnolino
tutto bagnato e infreddolito va a nascondersi in un angolino ad un certo
punto sboccia un grande fiore dove appare una fata che domanda:
"bel cagnolino come ti chiami? e perché sei triste?". " Mi chiamo Zampa
sono triste perché non so abbaiare e non so come uscire da qui.
La fatina di nome Pretty Star gli disse:" caro Zampa ti aiuterò io.
Ti darò una mappa che ti indicherà la strada per arrivare al luogo dove
potrai risolvere il tuo problema ma se non riuscirai ad arrivare in
questo luogo entro quattro giorni il tuo desiderio non si avvererà." Tocca
Zampa con la sua bacchetta magica e lui immediatamente si trova in un
villaggio dove incontra una bambina. Zampa è un po' spaventato
ma la bimba con il pensiero gli dice:" tranquillo cagnolino non voglio farti
del male. Sono qui per aiutarti. Sono l'amica di Pretty Star."
il canino risponde:" non ci credo. dammene una dimostrazione."
La bambina allora si trasforma in una cagnolina."Sei convinto? Ora
seguimi"
I due s'incamminano lungo una strada. Ad un certo punto incontrano dei
malviventi. La cagnolina che si chiamava Stella canta una canzone magica:
"Magia, magia che tutto porti via, porta via con i tuoi venti questi
malviventi."Arrivò una forte folata di vento che li portò via.
Zampa e Stella si rimettono in cammino.
Cammina, cammina trovano la strada interrotta da un fiume e non pos=
sono proseguire. allora Stella si mette in azione e canta un'altra canzone:
"Ponte ponticello, bello bidello, spazza spazza tutta la pazza piazza." Si
alza una nuvola di polvere dorata che li trasporta dall'altra parte del fiume
dove trovano il segno di una X rossa. I due cominciano a scavare e
trovano un cofanetto con un biglietto sul quale era scritto:"se ad aprirmi
riuscirai abbaiare potrai." Zampa chiede aiuto a Stella per trovare il modo di aprire il cofanetto. Stella gli risponde:"se aprirlo vorrai, una parola
cercherai."
Zampa chiede a Stella un indizio. La cagnolina risponde:
"Qual è il sentimento più forte?" "L'AMORE" Zampa lo scrive sul cofanetto
che si apre e rivela una ampollina con un liquido viola. Lui lo beve e
rivolgendosi a Stella le dice:" BAU, BAU."
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